È iniziato un nuovo anno scolastico ed è bello iniziare ciò che un Altro porterà a compimento. Questo è ciò che è stato messo a tema nel momento di accoglienza dedicato agli alunni delle Classi Prime ed alle loro famiglie trovatesi insieme nel cortile degli Artigianelli.
Vogliamo condividere il messaggio con cui il preside ha accolto le bambine e i bambini che iniziano il loro cammino nella nostra scuola e di seguito riportiamo quanto condiviso con le famiglie nel breve dialogo svoltosi immediatamente dopo.
Cari bambini e bambine,
per ognuno di noi inizia oggi un pezzo nuovo di cammino ed è questo inizio che ne fa un giorno importante, speciale. Il ricordo del mio primo giorno alle medie è ancora vivo per tre cose: l’emozione perché il varcare la soglia di quella nuova scuola era – nella mia mente di undicenne – ciò che mi avrebbe fatto diventare “grande”; la gratitudine – che sento ancora viva nonostante siano passati molti anni – verso il mio maestro delle elementari (il maestro Mario Tedeschi) e che quel giorno si manifestava con la tristezza di non trovarlo ad aspettare sulla porta di quella che sarebbe stata la mia nuova classe ed infine il desiderio di potermi mettere in gioco e quindi poter iniziare a dire “io”.
Ma noi che siamo qui, cosa ci aspettiamo da questo inizio e da questi tre anni?
Certamente la scuola è il luogo dove si lavora, dove si conosce, dove si impara, ma tutti sappiamo bene che in fondo non è solo questo. La scuola è il luogo dove passo passo, un pezzetto alla volta, scopro chi sono, scopro cosa desidero. Ma perché questo avvenga occorre stare di fronte ad un “Tu” (che in questo tempo avrà la faccia dei compagni e, per tutti e per ognuno, quella degli adulti). Lo abbiamo sperimentato con gli artigiani durante i laboratori nei cinque giorni della settimana appena trascorsa: la bellezza di ciò che ognuno di voi ha realizzato non sarebbe stata possibile se non fossimo stati di fronte a qualcuno che ci ha guidato; non sarebbe accaduta se non avessimo, prima ancora del fare, guardato ed ascoltato. Non ci siamo fatti fermare dal sentire difficile ciò che ci veniva chiesto, non ci siamo fatti bloccare dalla paura di non riuscire. Ci siamo fidati di chi ci ha guidato, abbiamo rischiato ed abbiamo imparato, da loro ma anche dai compagni che ci siamo trovati accanto.
Stamani, come lunedì scorso, siamo entrati in questo cortile col cuore pieno di una segreta speranza (più grande di quella che magari abbiamo accennato alla mamma o al babbo) e accade che ci troviamo davanti degli adulti che hanno la stessa segreta speranza (non le soluzioni ad essa), adulti che vi danno la mano e che si mettono in cammino con voi (come hanno camminato con noi gli artigiani).
È per questa segreta speranza che il tempo che vivremo insieme in questi anni diventerà denso di senso e non sarà solo un flusso di giorni; è per questa segreta speranza che l’ordinario potrà diventare straordinario.
I 125 anni degli Artigianelli (perché quest’anno ricorrono 125 da quando gli Artigianelli esistono) hanno senso e valore per questo, non per il numero, ma per quanto scritto nel motto che vedete sullo stemma storico: “Il viver si misura dall’opre e non dai giorni”. È il vivere pienamente che rende l’ordinario (cioè il tempo) straordinario. Noi vogliamo aiutarci a fare esperienza di questo.
Care mamme e cari papà,
anche noi oggi siamo entrati in questo cortile col cuore pieno di una segreta speranza, esattamente come i vostri figli. Una speranza di bene per cui ci struggiamo. Ma c’è una cosa a cui dobbiamo richiamarci e a cui tutti dobbiamo fare attenzione: basta un attimo, un solo secondo, a trasformare questa segreta speranza in una pretesa. La pretesa che i figli siano come li vogliamo noi, che siano capaci, che siano bravi, che non sbaglino, che non inciampino… dimenticandoci che i figli sono altro da noi.
A noi sta il compito di educarli accompagnandoli (ma mettendoci un passo dietro loro), guardandoli (ma con la coda dell’occhio), dando loro la mano se hanno bisogno e se ce la chiedono (ma mai sostituendoci a loro, mai risparmiando loro la fatica che gli è chiesta). Nessuno mai è morto per questa fatica, ma risparmiargliela non li farà migliori.
I bambini che avete accompagnato oggi a scuola e che avete guardato con commozione mentre ascoltavano ciò che abbiamo detto loro, iniziano oggi un percorso in cui inizieranno a dire il loro “io”, a voler far da sé, ad affermare una loro autonomia, a chiedere la loro libertà, a cercare ciò che risponde al loro desiderio.
E cos’è che desiderano? Il loro desiderio è di cose grandi, anzi è come loro: infinito!
Allora il peccato più grande che noi adulti possiamo commettere è sminuire questo desiderio. L’errore più imperdonabile in cui possiamo cadere è parcellizzare il loro desiderio di infinito, spacchettandoglielo in tanti desideri “parziali”, in modo da poter provvedere noi alla loro soddisfazione (un certo paio di scarpe, quel modello di telefono, un certo gioco o quella determinata felpa…) pensando di farli felici salvo scoprire che non è così. I bambini sono fatti per cose grandi e la scuola è il luogo dove iniziano a scoprirlo, se noi adulti glielo permettiamo.
Per questo occorre che ci aiutiamo a non perdere mai di vista il nostro compito di adulti e perciò di educatori. Se noi adulti ci guardiamo così, in una relazione fiduciale e nella condivisione dello scopo vero per cui siamo qui stamattina, saremo il terreno fertile dove il loro desiderio potrà germogliare ed un giorno farli diventare fiore e frutto.
La strada che i bambini hanno iniziato oggi, non è solo la loro, ma è anche la nostra.