Pubblichiamo questo interessante articolo a cura di Pigi Colognesi apparso su “ilSussidiario.net” di Lunedì 26 Settembre.
Voglio scoprire l’America
Uno studente liceale, senza firmarsi, ha appeso alla bacheca della scuola cattolica che frequenta un breve testo. Lo propongo, senza commenti, per la drammatica freschezza con cui interpella ogni adulto che, come tale, è educatore.
“Mi ritrovo di nuovo qui, a fare sempre la stessa cosa, fissare sempre lo stesso punto e scrivere scrivere scrivere, ascoltare, e ancora scrivere scrivere e scrivere. Appena guardo fuori dalla finestra mi accorgo di quanto la vita stia scorrendo e io invece resto qua seduto, immobile. Sento che mi manca l’aria. Sono incatenato a questo banco che non mi vuole lasciare andare, per quanto mi agiti devo continuare a scrivere scrivere scrivere. Perché? E se la vita che ora sta passando si dimenticherà di me e non tornerà più indietro a prendermi? Smetto di scrivere. Vedo che attorno a me ci sono almeno altre venti persone che stanno facendo tutti la stessa cosa. Fissano tutti lo stesso punto, immobili. Con lo stesso solito tono di voce in sottofondo. E scrivono scrivono scrivono. Ma almeno sapranno quello che stanno scrivendo? Sento che non resisto, devo alzarmi, devo gridare, devo muovermi. Il flusso della vita sta scappando e porta con sé occasioni uniche e nuovi stravaganti incontri e devo inseguirla, non posso stare qui a scrivere. Non ce la faccio neanche a guardare la lavagna.
Io lo so, professori, che le parole che passano su quei muri, dalle vostre bocche e appunti, sono oro per me, lo so. Ma se un giorno mi bastava portarle a casa e studiarle per dissetare la mia sete di scoperta, di vita, ora non mi bastano più sparate a raffica, chiusi in una classe. Io la voglio vedere con i miei occhi una donna come Beatrice, e sentire sulla pelle il brivido del suo sguardo e allora capire come da un’emozione può nascere un’opera d’arte come la Divina Commedia, voglio vivere nelle stesse soffitte dei pittori e scrittori squattrinati, e imparare come si fa a fare la storia. Voglio perdere, scappare e cadere e sentire il peso sulle spalle di Enea, voglio essere chiamato ‘Mio Cesare’ e voglio essere chiamato ‘Figlio mio’, voglio che la matematica risolva i miei problemi prima di risolvere se stessa, voglio decidere io le mie risposte, o almeno scoprirle e non trovarle già scritte. Voglio chiedermi cosa sono le stelle perché le ho viste nel cielo e non su uno schermo luminoso. Voglio scoprire l’America assieme a Colombo e sentire l’odore di un mondo nuovo. Io l’America neanche l’ho mai vista.
Lo so, cari amici e professori, che vi sto chiedendo tanto, ma vi prego, se sapete come, e lo so che lo sapete, portatemi con voi, a quel giorno che avete provato tutte queste cose, queste avventure, quel giorno che ha cambiato la vostra vita e che vi ha fatto capire che valeva la pena di raccontarle tutte queste cose. Fatemi volare via da questa classe, solo per un’ora, e fatemi vedere quello che avete visto e vissuto voi, oppure uccidetemi. Siate sinceri e non vergognatevi di quello che insegnate, perché è meraviglioso. Ma io ho ancora bisogno di una mano per vedere questa meraviglia. Dimostratemi per l’ultima volta che ne vale la pena, anche se lo fate già tutti i giorni. Io ho ancora paura che potrebbe essere tutto una grande perdita di tempo, vi prego, ditemi che non è così. Forse anche stando seduti cinque ore a scrivere scrivere e scrivere stiamo entrando nel profondo della vita, ma a me non basta più”.